Almanacco del Wrestling - AKIRA MAEDA


Da Wikipedia: la persona nel segno dell'Acquario è estrosa, originale. Vista la dominanza uraniana è
difficile da ingabbiare all'interno di schemi e concetti precostituiti, di norma insofferente alle regole e alla società. È alla costante ricerca di un suo modo per esprimersi in ferma opposizione agli altri.

Se c'è una cosa che abbiamo imparato in questi primi capitoli dell'Almanacco del Wrestling, è che in Giappone questa disciplina è stata spesso presentata come un campo dove i Protagonisti si misuravano non semplicemente in base alle loro qualità tecniche, alle loro aspirazioni. La "sostanza" di base, l'humus dal quale ogni wrestler di successo doveva cercare di far germogliare la propria voglia di emergere, era ciò che da dentro li muoveva.

No, non sto parlando del cuore, della capacità di gettarlo oltre all'ostacolo, qualunque esso fosse. Akira Maeda si prende questo Capitolo per il suo fegato. Per il fatto di non aver mai voluto abbassare lo sguardo di fronte a nessuno - anche il motivo fosse semplicemente quello di prendere meglio la mira...

Maeda nasce a Osaka il 24 Gennaio 1959 - segno zodiacale acquario, appunto - ed è diventato un karateka diciottenne di belle speranze quando nel 1978 viene notato da emissari della New Japan. Lo invitano nel dojo, dove prepararsi come wrestler professionista. Come già successo ad altri giovani prospetti prima di lui, parte del percorso formativo include il viaggio in Inghilterra, dove - con il nome di Kwik Kik Lee - viene presentato al pubblico come il fratello del già popolare Sammy Lee, passato poi alla storia come la prima incarnazione del leggendario Tiger Mask.

Nell'aprile 1984, un gruppo di wrestler affiliati alla NJPW, Ryuma Go, Rusher Kimura, Gran Hamada, Nobuhiko Takada, Yoshiaki Fujiwara (quest'ultimo da me citato in lungo e in largo durante la mia militanza in SIW tra il 2022 e il 2023) e appunto Akira Maeda decisero di dare vita a un movimento che portasse sul ring uno stile di combattimento più orientato alle radici marzialiste che non al "colore" del wrestling statunitense o addirittura messicano.

Per fare questo, non ci fu altra via se non quella di recidere il cordone dal maestro Antonio Inoki e dalla sua visione occidentale del puroresu, dimostrata anche dalla scelta di dare a Hulk Hogan l'opportunità di elevarsi nell'olimpo giapponese con il trionfo nel primo International Wrestling Gran Prix del 1983. 

In cabina di comando della neonata Universal Wrestling Federation sedeva una nostra vecchia conoscenza dell'Almanacco, quel Hisashi Shinma già presidente della WWF e deus ex machina dietro agli storici cambi di testimone della Corona WWF tra Inoki e Bob Backlund. Fu proprio Shinma ad accordarsi con Vince McMahon per far sì che una rappresentanza della UWF facesse capolino negli States per accrescere il proprio prestigio, con Maeda presentato ai fan del Nord Est americano come Campione Internazionale WWF. 

La visione di questi pionieri dello shoot-style era chiara: proporre un prodotto che nulla aveva a che vedere con ciò cui gli appassionati potevano assistere nei programmi tv della All Japan e New Japan, che venivano bollati come "poco realistici" (eufemismo...), e per fare questo vennero incorporate tecniche appartenenti al catch wrestling caro a uno dei trainer, l'onnipresente Karl Gotch, allo judo, il ju-jitsu e la kickboxing. Ben presto alcuni stessi degli "UWF Originals" come Hamada e Kimura decisero di cambiare bandiera e passare alla AJPW, tanta si rivelò la loro stessa difficoltà all'adattarsi a questo nuovo, durissimo stile di lotta.

Quello che fece naufragare la prima incarnazione della UWF non fu però la mancanza di wrestler disposti a cimentarsi sul ring più impegnativo del mondo, bensì l'incapacità di sintesi tra visioni e direzioni diverse da imprimere a questo innovativo gruppo: da un lato, Akira Maeda e i suoi alleati, fedeli alla missione originaria e pronti a subire anche cocenti sconfitte pur di portare al pubblico una serie di incontri e sfide il più avvincenti e indecise possibili. Dall'altro, Satoru Sayama, che voleva a tutti i costi far valere il peso specifico della sua maschera di Super Tiger e ritagliarsi un ruolo di primo piano a livello di matchmaking.

Le tensioni culminarono nel match a Osaka del 2 settembre 1985, dove i due rivali non si risparmiarono alcun colpo, fino a che uno di questi, scagliato da Maeda, finì un po' troppo sotto la cintola del Tigre per non andare a decretare la fine della contesa per squalifica. 

Sayama lasciò la UWF, non salendo più su un ring per oltre un decennio, mentre Maeda fu allontanato dalla sua stessa creatura, prima che questa chiudesse i battenti di lì a poco.

Ecco, il tema del "calcio", che dà il titolo a questo capitolo, inizia a prendere forma, anche se il culmine è ancora da raccontare. Maeda, Fujiwara e Takada, tra gli altri, tornano "all'ovile" e siglano un accordo con Antonio Inoki per il rientro in New Japan. La sagacia della Leggenda Giapponese, va detto, è quella di re-introdurre i figlioli prodighi legittimandone il passato in UWF, ma soprattutto mostrandoli al pubblico non in match contro alcuni esponenti fissi della scuderia preesistente (figurarsi dream match come Inoki-Maeda o Fujinami-Fujiwara), ma in contese tra loro, dove poter così rimarcare al grande pubblico le caratteristiche peculiari e lo stile originale di questi combattenti...Lezione per i promoter del giorno d'oggi sul come si presenta al pubblico un nuovo elemento.

Inoki crea appositamente la "UWF Representatives League", vera e propria vetrina per i nuovi arrivi in casa New Japan, e dalla tournée New Year Dash del 1986 si inizia a costruire, mattone per mattone, la torre che avrà come apice lo scontro diretto tra i rappresentanti storici della NJPW e questo gruppo di ribelli. 

Akira Maeda in questi mesi non fa assolutamente nulla per levarsi di dosso la reputazione di atleta senza compromessi, pronto a qualsiasi scelta, anche estrema, pur di portare avanti la sua causa, il suo credo, il suo modo di contemplare l'arte del combattimento ed il wrestling come sua espressione. Il primo atleta UWF a farsi strada nel Regno di Inoki è Nobuhiko Takada, che sconfigge Shiro Koshinaka diventando Campione Junior Heavyweight. Nell'estate del 1986, Maeda e Osamu Kido sconfiggono Kengo Kimura e il mostro sacro Tatsumi Fujinami diventando Campioni di Coppia IWGP...È ormai testa a testa tra le due fazioni, una sorta di guerra civile dove i veri vincitori sono gli appassionati di puroresu, che non solo assistono a contese tra wrestler fino a poco tempo prima accasati in realtà esterne, ma soprattutto si fanno testimoni della creazione di un nuovo stile di wrestling, dove il quadrato torna a prendere il sopravvento e le leve articolari vengono affinate così tanto da determinare molto spesso la fine degli incontri. Maeda inizia qui a costruire, insomma, non soltanto la sua reputazione, ma la sua eredità nel wrestling, come vedremo lungo questa nostra storia...

...Eccoci quindi all'apice del racconto, nel bel mezzo della tournée che nel 1987 assegnava la Japan Cup a coppie (antesignana della G1 Climax). Il cosiddetto "girone all'italiana" vide la partecipazione di Antonio Inoki & Dick Murdoch, Kengo Kimura & Tatsumi Fujinami, Masa Saito & Yoshiaki Fujiwara, Seiji Sakaguchi & Scott Hall, Keiji Mutoh & Nobuhiko Takada, Akira Maeda & Junji Hirata, Kendo Nagasaki & Mister Pogo e le cenerentole Ron Starr & Ron Ritchie. 

Per l'ottavo giorno della serie, data astrale 19 Novembre, il match di cartello vedeva di fronte il trio di Maeda, Takada & Kido contro Masa Saito, Hiro Saito ed il popolarissimo Riki Choshu, sulla cresta dell'onda dopo il suo recente ritorno dalla All Japan e la sua affiliazione al gruppo Takeshi Puroresu Gundan (fazione dalla quale emergerà di lì a un mese il "mostro straniero" Big Van Vader...ma questa è un'altra storia).


Choshu aveva costruito la sua fama di wrestler su due tecniche in particolare: il Riki-Lariato (running clothesline) e lo Scorpion Death Lock, la cui invenzione viene accreditata da più fonti allo stesso "Guerriero Rivoluzionario", così come veniva soprannominato questo wrestler. Lo Scorpion Death Lock, per quanto devastante per chi vi si trova intrappolato, pone un problema per chi la esegue, nel caso in cui si trovi in un contesto a squadre, e non un match singolo: per applicarla con massima leva, entrambe le mani sono impegnati nella chiusura a chiave, esponendo di fatto la propria guardia ad un eventuale attacco laterale o da tergo. Avete già capito dove voglio arrivare...

Nel calcio probabilmente più famoso nella storia del puroresu, Maeda esce dal suo angolo e rifila un calcio devastante sull'arcata sopraccigliare di Choshu, che non va in frantumi solo perchè il paratibie di Maeda attutisce di fatto il colpo quanto basta per non spedire Riki a metà della settimana successiva, come avrebbe detto Gorilla Monsoon. Inutile a dirsi, il match a quel punto va completamente a ramengo: salgono sul ring tutti i wrestler, i secondi...e possibilmente anche i terzi, i quarti e i loro cugini di secondo grado.

Antonio Inoki di lì a poco si sarebbe ritrovato di fronte a un mugulo di giornalisti, a dover spiegare la defenestrazione di Akira Maeda dalla scuderia, camminando così lungo quella sottile linea che divideva il ciò che si era visto dal ciò che si sarebbe dovuto vedere. Perchè una reprimenda così dura? Non sarebbe bastata una squalifica da parte dell'arbitro? Magari un taglio dello stipendio a causa degli impegni sul ring persi da Choshu per via dell'infortunio al viso. 
Invece no, linea durissima. Più domande che risposte, dunque.

La risposta più chiara la dà Maeda, e con lui il suo gruppo di compagni. Una risposta che ascrive Akira Maeda nella grande storia del wrestling mondiale, e quindi in questo Almanacco. Nasce la  NEWBORN UWF, seconda incarnazione della lega fondata quattro anni prima. 

Il ritorno della UWF, che segna un successo del gruppo ancora più grande rispetto alla sua prima fondazione, cambia del tutto il panorama prima giapponese, e poi oltreoceano - Pacifico in questo caso. Per stare al passo con i ribelli (no, niente birra da discount qui), sia la New Japan che la All Japan iniziano a promuovere match dove l'enfasi si sposta dal gong iniziale a quello finale: sempre meno match di cartello terminano in conteggi fuori dal ring o squalifiche, sempre meno epiloghi per schienamento, a favore di wrestler costretti alla sconfitta per sottomissione...il cosiddetto tap out che ai tempi veniva usato con un senso ben preciso: era l'ultimo sforzo di un wrestler impossibilitato a usare la propria voce, per abbandonare la contesa.

Oramai, si vedono leve alle gambe terminare con wrestler che, inspiegabilmente (almeno, a me non è mai successo...), perdono temporaneamente la capacità verbale e si trovano costretti a battere sul tappeto il proprio ritiro dal match, prima ancora della ritirata. Coreografare la propria sconfitta...Mah.

Avete quindi ora un quadro più chiaro, sul profilo umano e competitivo del nostro Protagonista di oggi, ma ritengo ci siano modi per conferire altri colori alla vostra immagine: ho deciso di corredare questo capitolo con una serie di filmati che hanno lo scopo non soltanto di mostrarvi le vicende di cui narro, ma soprattutto di farvi entrare nella rovente atmosfera che ha caratterizzato un periodo così importante, nella storia del puroresu. I video che seguono sono un degno epilogo di questo emozionante viaggio nei ricordi - e nelle emozioni.

26 Marzo 1986, Metropolitan di Tokyo
Match a eliminazione, 5 contro 5: Team New Japan (Antonio Inoki, Tatsumi Fujinami, Kengo Kimura, Umanosuke Ueda e Kantaro Hoshino) vs Team UWF (Akira Maeda, Yoshiaki Fujiwara, Nobuhiko Takada, Kazuo Yamazaki e Osamu Kido)
Le regole per decretare un'eliminazione sono tutte da scoprire...vedere per credere!

1 Maggio 1986, Kokugikan di Tokyo
Forche caudine, 5 contro 5 a sorteggio: Team New Japan (Tatsumi Fujinami, Kengo Kimura, Shiro Koshinaka, Seiji Sakaguchi e Keiichi Yamada - il futuro Jushin Thunder Liger) vs Team UWF (Akira Maeda, Yoshiaki Fujiwara, Nobuhiko Takada, Kazuo Yamazaki e Osamu Kido)

La partecipazione del pubblico è pari solo a quella di ognuno dei wrestler che hanno partecipato a queste storiche battaglie. Li vediamo a bordo ring, uno accanto all'altro, a sostenere i propri compagni, ora preoccupati, ora entusiasti. Se non ci fosse stata, da parte di questi gladiatori, tale grado di coinvolgimento, il pubblico non sarebbe stato così emotivamente coinvolto. 

Anche questa, una importante lezione, per chi in Italia si ritrova dietro il sipario, e spesso anche a bordo o centro ring. Guardare alle "stelle", come abbiamo fatto noi all'inizio di questo Capitolo, e non alle "stelle e strisce".

Alla prossima!

Memphis in salsa newyorkese: nasce Monday Night Raw

Lunedì 11 Gennaio 1993 è entrato nella storia degli appassionati di Wrestling come la data di messa in onda dell'inaugurale "Monday Night Raw", ancora oggi in voga (fresca di debutto su Netflix per molte aree del globo - Italia esclusa) e sulla quale definizione di "più longevo programma di intrattenimento" non riesco a non storcere il naso, più che altro per motivi di affezione verso un Wrestling decisamente diverso.

Una delle ultime trasmissioni di Prime Time Wrestling
Detto questo, è innegabile che il cambio di passo che la allora WWF impresse con Raw fu tangibile sin da subito, per qualsiasi aficionado che fino alla settimana precedente, allo stesso orario, era abituato ad assistere a Prime Time Wrestling, l'improbabile "panel" con Vince McMahon a capo tavola coadiuvato dall'ala babyface di Jim Duggan o Sgt.Slaughter e Hillbilly Jim a cui era contrapposto il duo heel di Bobby Heenan e Jerry Lawler.

Fermiamoci un attimo su quest'ultimo protagonista: il suo arrivo in WWF, all'indomani del ritorno sul quadrato di Mr.Perfect per le Survivor Series 1992, faceva parte dell'accordo che Vince McMahon siglò con Jerry Jarrett per permettere al promoter del Tennessee di assistere in principio ed eventualmente dirigere poi l'intera produzione televisiva della WWF, nel caso in cui McMahon fosse finito in carcere per via del cosiddetto "scandalo-steroidi" di quel periodo.

Dove si colloca "Raw" in questo contesto? Con alle spalle tre anni di crisi dal punto di vista del numero di spettatori e di vendite degli spettacoli in pay-per-view, McMahon era alla disperata ricerca non tanto di nuovi wrestler con i quali rimpolpare la scuderia (Hulk Hogan era fuori dai giochi da qualche mese, Ric Flair non aveva rispettato le attese ed il secondo regno da campione di Randy Savage non riuscì a risollevare una situazione già compromessa), ma di una piattaforma dove lanciare un nuovo prodotto, più veloce, più imprevedibile, dove tutto poteva accadere...Insomma, decise di portare Memphis (un territorio settimanale) sù sù sino a New York, e chi meglio di Jarrett poteva stargli di fianco in questo trasloco creativo?

Già dalla sigla si capisce che siamo di fronte a un programma del tutto diverso, un tripudio di elettronica e chitarra elettrica (ok, in fondo c'è sempre la marchetta-sassofono dalla quale Vince McMahon evidentemente faceva ancora fatica a separarsi...) che fanno da introduzione a una vista aerea della bomboniera Hammerstein Ballroom, con l'addetto di palco a sinistra che si sbraccia come un forsennato per aizzare 2000 presenti che, in realtà, erano già belli gasati di loro. Sirene della polizia e volume del pubblico pompato al massimo: è New York, bellezza.
Non credo che ci fosse tra di loro qualcuno consapevole di essere entrato a far parte di una storia  con decenni davanti a sé, ma certo, dopo anni nelle secche e non ultimo il rifiuto dei maggiori network di trasmettere altri speciali Saturday Night's Main Event, sembrava che il vento iniziasse a tirare in una nuova direzione.

A bordo ring, Vince McMahon è affiancato da Randy Savage, relegato nuovamente al microfono suo malgrado, e Bobby Heen...No, Rob Bartlett, un comico che aveva mosso i suoi primi passi insieme a Eddie Murphy prima di farsi un nome sugli stage e nelle radio del Nord Est. Bartlett sta al wrestling come il sottoscritto sta all'astrofisica, per farvi capire. La prima frase di questo umanoide: «non vedo l'ora di assistere al match tra Koko B. Ware e YokoZZUMa, l'uomo che sale sul ring con il pannolone gigante». Va bene Bob, toh, prendi un altro chewing gum. Strafalcioni a parte, l'intento era chiaro: se si voleva proporre un prodotto edgy, bisognava separarsi dalle vocione impostate ala Ron Trongard per passare al linguaggio della strada, e vedere l'azione sul ring sotto nuovi occhi (o occhiali da sole, nello specifico). Savage ci riporta nel mondo dei tre giri di corda, ricordandoci che il match di cartello della serata avrebbe visto di fronte Damien Demento e The Undertaker.

Koko B. Ware vs. Yokozuna

Prima lezione di booking. Tra 13 giorni c'è la Royal Rumble, che per la prima volta assegnerà al vincente della "rissa reale" il diritto di sfidare il Campione del Mondo WWF nel main event di WrestleMania IX. Quale migliore occasione, uno show tutto nuovo, super sonico, per mostrare al pubblico in tutta la sua ferocia colui che quella rissa la andrà a vincere? Prendete appunti, baldi aspiranti creativi davanti allo schermo. McMahon è come se presentasse i suoi wrestler ad un pubblico del tutto nuovo, perchè li re-introduce nelle loro caratteristiche dominanti: Yoko non solo non è mai stato sconfitto, ma nemmeno buttato al tappeto (figurarsi buttarlo oltre la terza corda in una battaglia reale...). Cerimonia dei sali. Dopo 4 minuti e mezzo scarsi dall'inizio della trasmissione, parte la prima botta di "culo" da parte di Bartlett nel descrivere il futuro Campione WWF, dalla quale il nostro trio si giustifica ricordando che il programma è crudo, senza tagli, senza censure.
Senza ritegno, aggiungerei io, ma questo è un appuntamento con la storia, e l'Accademia della Crusca non ha comprato i biglietti. Il match? Senso unico: legdrop, valanga, banzai drop. Indovinate cosa va in onda subito dopo? Ovviamente uno spot per la Royal Rumble!

Dopo aver visto una nuova incarnazione delle Federettes (quelle "signorine" che nel 1986 facevano spola tra bordo ring e backstage per portare via giacchette e accessori ai wrestler impegnati sul quadrato) fare la sua parata come tra un round e l'altro degli incontri di pugilato (questo show è crudo ragazzi, non prendetevela con me, che di questa roba ne farei a meno), dal backstage Bobby Heenan ricorda al suo ex-assistito Mr.Perfect che la Royal Rumble vedrà il debutto del Narciso Lex Luger, l'unico essere umano superiore alla perfezione. La storia gli darà torto.

Steiner Brothers vs. The Executioners

Barry Hardy e Dwayne Gill, o dovremmo dire "Pain" e "Agony" (sì, ora sapete da dove ho preso ispirazione in 2PW nel 2007...) hanno l'infame compito di finire macellati - e maciullati - dal team sul quale McMahon ha deciso di puntare per l'anno appena iniziato. Ovviamente, anche Rick e Scott Steiner saranno presenti alla Royal Rumble, dove faranno briciole dei Beverly Brothers. Capite quindi come questo show, nei suoi primi tre segmenti tra dentro e fuori ring, sta diventando - giustamente - una mega cassa di risonanza per l'imminente pay per view. Pronti via, whip e thilt-a-whirl side suplex. Cambio a Rick, whip e il povero Dwayne si strozza da solo sulle corde. Riproviamo. Whip e Steinerline.  Powerslam al contrario sull'angolo. Leapfrog bloccato con un altra powerslam. Chiamate Amnesty International. L'arbitro scambia un release belly-to-belly di Scott per una bearhug, e si sposta all'ultimo secondo prima di essere la pista di atterraggio del povero Hardy. Double underhook Powerbomb. Rick vola in bulldog dalla terza, con Dwayne seduto sulle spalle di Scott. Fine del massacro. Perfetta mostra del campionario di questi due protagonisti arrivati dalla WCW solo un paio di mesi prima.

Dopo uno dei vari siparietti con Bobby Heenan che, ritrovatosi "disoccupato" in seguito alla chiusura di Prime Time Wrestling, tenta di entrare al Manhattan Center sotto mentite spoglie, torniamo sul ring e ovviamente si continua a...parlare di Royal Rumble, con il primo sfidante al Titolo Mondiale, Razor Ramon, intervistato da Vince McMahon. Breve, ma perfetta presentazione di questo wrestler che in meno di sei mesi ha scalato la vetta della WWF. 

Match valevole per il Titolo Intercontinentale: Shawn Michaels vs. Max Moon

Questi due si sono dati battaglia per anni, prima in AWA, quando l'Uomo Spaziale gareggiava senza maschera con il nome di Paul Diamond, e poi in WWF, con i Rockers di Michaels & Jannetty di fronte all'Orient Express di Tanaka e del questa volta mascherato Kato. La "chicca" subdola è che subito prima di questo match vediamo un promo di Tatanka, che di lì a poche settimane inizierà a misurarsi con Shawn Michaels sino a WrestleMania IX...Brava WWF! L'incontro è solido, Moon si è guadagnato questa opportunità uscendo imbattuto da tutti i suoi precedenti impegni sul ring, e possiamo considerare questa contesa come il suo canto del cigno. Shawn Michaels resiste anche al brevettato rolling drop dello sfidante, per poi infliggergli una sconfitta pulita, senza se e senza ma. Ecco che l'Uomo venuto da un altro pianeta si tramuta nell'ennesima..."stella cadente".
Per Michaels, una vittoria che gli dà slancio in vista del suo impegno più improbo, alla Royal Rumble, sotto forma della sfida lanciatagli dal suo ex partner Marty Jannetty.

Come potevamo rinunciare questa sera all'immancabile "Report", dove Mean Gene ci ricorda tutti i match in programma per l'imminente Royal Rumble? Interviste a Shawn Michaels, Marty Jannetty, Mr. Perfect (questa opportunità serve a bilanciare il promo di Bobby Heenan sul Narciso, ovviamente), e poi ancora Yokozuna (repetita iuvant), Jim Duggan (che ammette: "Non sono sicuro di vincere, ma darò il 110%"...Come direbbe Morandi, Uno su TRENTA ce la fa).

Damien Demento vs. The Undertaker

Parentesi: ne veniamo dal primo Coffin/Casket Match trasmesso in pay per view dalla WWF, solo un mese e mezzo prima. Vince McMahon ci fa vedere le immagini della settimana precedente, quando Kamala, dopo essere uscito dalla bara preparatagli dal protagonista di questo fine serata, Undertaker, è anche uscito dal suo "guscio", ribellandosi alle angherie di Harvey Wippleman e Kimchee per accogliere l'aiuto di Reverend Slick (che fino al 1991 aveva un personaggio che non  proprio velatamente ricordava quello di un...protettore). Quindi anche qui, un bell'esempio di "taglia e cuci" da una storia appena conclusa a un'altra da scrivere, con il fil rouge rappresentato dal wrestler programmato per chiudere lo show odierno.
È chiaro l'intento di presentare per la prima volta The Undertaker come reale papabile per la vittoria nella Rumble, ora che non sembrano palesarsi credibili avversari a sbarrargli la strada: ancora più valore ha quindi, in questo senso, la strategia di Pat Patterson e Jerry Jarrett che, la nemesi successiva del Becchino, hanno deciso di presentarla a sorpresa DURANTE la Royal Rumble, con il debutto di Giant Gonzales e l'eliminazione di 'Taker dall'agone. 

Qui a Raw, la teoria di Rob Bartlett è che Damian Demento «si sia tagliato i capelli mentre andava via la luce»: facile pensare che in quel momento, la luce, si sia spenta dagli occhi di un ammutolito Randy Savage. Sul quadrato, i gong di inizio e fine match sono distanti poco più di una manciata di minuti, minimo necessario ad Undertaker per regolare la pratica-Demento...Un match che ha avuto anche lo scopo di dare a McMahon l'opportunità di annunciare i piatti forti della prossima settimana: Mr. Perfect contro Papa Shango, Ric Flair contro El Matador (questi due match sfocieranno nel loser leaves WWF della settimana successiva...anche questa modalità, una pagina dal libro di Memphis) e ovviamente l'intervista-contraltare al Campione del Mondo Bret "Hitman" Hart, con la Royal Rumble sempre più vicina.

Eccoci dunque giunti al termine di questa cavalcata nei ricordi. Un momento storico nel wrestling televisivo ma soprattutto, cosa che ritengo decisamente più interessante, il cambio di stile nel racconto, nel ritmo e nella produzione di un prodotto: presentarsi come "nuovo", attingendo ad approcci di booking degli anni Sessanta-Settanta-Ottanta, quando territori settimanali come il Tennessee o la Florida attraevano numeri giganteschi di spettatori ogni sette giorni negli stessi luoghi.

Nota curiosa a margine: tempo addietro condivisi, a una persona che in quel momento aveva responsabilità creative, una puntata della Mid South dei primi anni 80, come esempio di ritmo alto, legame tra una puntata e la successiva, la promozione all'interno dei singoli match. Forse, con il senno del poi, avrei dovuto girare il link di una di queste puntate (diciamo che la prima era di Raw/Memphis si concluse all'inizio del 1994), anche solo per il fatto che la sigla WWE, in quanto tale, suscita ad alcuni una più alta credibilità (del tutto superficiale in questo caso).

Dopo tanti discorsi, ora è il momento di goderci lo show:

Ci (ri)vediamo presto.





Almanacco del Wrestling - JERRY LAWLER

 

Ci sono match che per un motivo o per un altro entrano a far parte del tuo immaginario, che stimolano la tua fantasia, i tuoi ricordi, per mille motivi. 

Possono essere motivi storici, proprio perché sai che quel match entrerà a far parte del novero degli indimenticabili, o magari per motivi di preferenza perché chissà, proprio in quel match ci sono uno o più dei tuoi beniamini. Ancora, la tua memoria li tiene impressi per via del loro esito, match dal finale a dir poco indimenticabile.

L'incontro di cui vi parlo oggi, la Storia di cui vi parlo nel mio - nostro - Almanacco è per me un mix di tutto questo, e qualcosa in più. 

I miei anni dell'adolescenza mi riportano alla fine degli anni Novanta, quando l'unica maniera per seguire il wrestling in modo extra televisivo era quello di prendere un treno dalla periferia di Genova, andare in centro, e cercare nelle edicole più grandi le riviste di wrestling che andavano al tempo in voga negli Stati Uniti. Si spendevano delle cifre esorbitanti, almeno per quelle che erano le mie possibilità, però alla fine la soddisfazione era tanta...E poi arrivò Internet, il mondo nuovo, tutto a portata di clic

Io che sono un appassionato della storia del Wrestling andavo anche a cercarmi riviste del passato e così ecco capitarmi tra le mani una rivista dell'inizio 1989. Il 13 Dicembre dell'anno precedente si tenne un match particolare, un match di unificazione

Da una parte c'è il Campione del Mondo della AWA, nonché protagonista della nostra Storia, Jerry The King Lawler. Dall'altra il Modern Day Warrior, Kerry Von Erich, autoproclamatosi Campione del Mondo della World Class Wrestling Association (il quale programma tv virava il nome in "WCCW World Class Championship Wrestling").

Perché questo match è entrato a far parte della mia memoria? Beh, proprio per quella rivista che mi capitò tra le mani.

Addirittura tradotta in italiano, sfoggiava tra le sue pagine un reportage di questo match e le foto che vidi mi scioccarono molto. Io adesso purtroppo non riesco a farvi vedere questa rivista, abitando in Emilia Romagna. Quella rivista però c'è ancora, è a casa di mia madre. 

Cosa vuol dire questo? Vuol dire che in un prossimo futuro, quando tornerò alla terra natia, farò un video che andrà a finire in coda a questo capitolo dell'Almanacco. Dopo aver visto cosa stimolò la mia memoria allora, tanto da imprimerne volti e colori nella mia storia del wrestling, sono sicuro questo scorcio saprà entrare a far parte anche della vostra.

Tuffiamoci dunque nel 1988. In quell'anno il fermento nelle realtà minori era grande: con l'avvento delle pay per view a cadenza fissa dell'anno prima, la scena Statunitense si stava di fatto trasformando in un duopolio costituito da WWF e NWA  (con quest'ultima, nel novembre 88, entrata a far parte della galassia di Ted Turner per cambiare nome e facciata in World Championship Wrestling). 

La (oramai non più) gloriosa AWA era in grossissima difficoltà sotto tanti punti di vista. I talenti più cristallini erano già andati via, direzione New York o Atlanta, quindi per costruire un prodotto che potesse in qualche modo agganciare l'attenzione del pubblico, c'era bisogno di attingere un po' da tutta quella che era la scena cosiddetta indipendente.
Si ritrovarono quindi intorno a un tavolo la AWA di Verne Gagne, la CWA (sigla fittizia dietro la quale operava la Mid-South Wrestling di gestita da Jerry Jarrett e da Jerry Lawler) e poi anche altre realtà, come la Pacific Northwest di Don Owens e ovviamente la World Class, rappresentata da Fritz Von Erich e dal senior official Frank Dusek. 
L'obiettivo era chiaro: arrivare ad una pay-per-view, Super Clash III, con in palio il titolo di Campione del Mondo unificato e indiscusso per ciascuna delle sigle coinvolte. 

Lee Marshall introduce la conferenza di presentazione del match titolato
I promoter decisero di rendere quello in programma a Chicago un vero e proprio rubber match tra i due detentori delle cinture, e per fare questo Lawler e Von Erich si sfidarono in lungo e in largo nei mesi precedenti...Capitoli intermedi della nostra Storia, fatti di schermaglie iniziate in estate.

In pieno stile dell'era dei "territori", a seconda di dove il match andava a tenersi, erano i favori del pubblico di casa a determinare l'esito della contesa. Facciamo un paio di esempi:

  • 27 Giugno 1988: a Memphis il primo incontro tra i due segue il pieno stile delle narrazioni "made in Tennessee", dove succede di tutto. Intervengono Robert Fuller e altri membri della Stud Stable, il match viene fatto ripartire e i due finiscono contati entrambi fuori dal ring. Pari e patta, insomma.
  • 15 Ottobre 1988, Cotton Bowl di Dallas: Kerry Von Erich sconfigge Jerry Lawler in un "Texas Death Match"...E iniziano le controversie. In un match di questo tipo non contano gli schienamenti in sè, ma il fatto che uno dei due wrestler non riesca a rispondere a un conto di 10 dell'arbitro dopo aver subito lo schienamento. Nelle fasi concitate della contesa, l'arbitro  finisce ko. Accorre quindi sul quadrato il matchmaker Frank Dusek, a decretare il fatidico conto di dieci. Il pubblico di casa crede di aver assistito ad un cambio del Titolo AWA, ma la American Wrestling Association, di fatto il sanctioning body / ente promotore del match, non è d'accordo e la cintura rimane in vita a The King.
  • 23 Ottobre 1988, si ritorna a Memphis, entrambi i titoli ancora in palio. Jerry Lawler sconfigge Kerry Von Erich e conquista quindi la cintura iridata World Class. Quindi COME MAI Jerry Lawler non si presenta sul ring dell'UIC Pavillion in possesso di entrambe le cinture? 
  • Perchè il 4 Novembre 1988 si torna in Texas, dove Jerry Lawler perde il match e con questo il solo titolo in palio quella sera, ovviamente a sigla World Class.
Ecco quindi ecco che si arriva finalmente alla fatidica data.

Siamo a Chicago, quindi si gioca in "campo neutro". I promoter tentano la strada battuta da Jim Crockett l'anno precedente a Starrcade, scegliendo di abbandonare i territori a loro cari in favore di una grande città statunitense - con gli stessi esiti nefasti: dei circa 9.500 posti a disposizione al Pavillion, solo 1.672 vennero occupati.
E dire che i segnali c'erano tutti: certo, Chicago era una città storica del territorio AWA, capace in passato di raccogliere grandi numeri in termini di pubblico...In passato, appunto.
Fatevi voi un'idea (data, match di cartello, spettatori) di tutti gli show AWA al Pavillion, prima di Super Clash III:

  • 5/5/85 (Road Warriors vs. Sgt. Slaughter & Jerry Blackwell / Rick Martel vs. Buddy Roberts): 5000 
  • 20/7/85 (Rick Martel vs. Michael Hayes): 3000
  • 1/12/85 (Road Warriors vs. Jimmy Garvin & Steve Regal / Rick Martel vs. Terry Gordy): 8000
  • 8/6/86 (Stan Hansen vs. Nick Bockwinkel): 1700
  • 19/7/86 (Nick Bockwinkel vs. Nord the Barbarian): 1500
  • 7/9/86 (Nick Bockwinkel vs. Curt Hennig): 1000
  • 26/10/86 (Nick Bockwinkel vs. Larry Zbyszko): 1000
  • 30/11/86 (Nick Bockwinkel vs. Curt Hennig): 400

Comunque sia, eccoci nella Windy City. Lontano dalle rispettive aree d'origine, il pubblico decide di schierarsi sin da subito a favore di Kerry Von Erich, che arriva al fatidico gong con la voglia di ritagliarsi un'altra fetta di storia, dopo aver sconfitto quattro anni prima Ric Flair per la corona NWA.

I favori del pronostico arridono però a Jerry Lawler, Campione AWA da circa un anno (aveva sconfitto quel Curt Hennig che di lì a poco rispose "presente" alle sirene della WWF) e universalmente riconosciuto come un vero e proprio ring general anche da altri grandi campioni del passato come Nick Bockwinkel.

Alla fine del match, il pronostico venne rispettato. Jerry Lawler uscì dall'arena in possesso di entrambe le cinture. Ma COME riuscì nella impresa?

Dopo un match molto combattuto, dove entrambi hanno mostrato e dimostrato di poter valere la cintura di un Campionato del Mondo ancora riconosciuto come tale, quello della AWA, nei minuti fatidici dell'incontro Kerry Von Erich riesce a piazzare l'Iron Claw. A quel punto tutti pensarono che la storia fosse a un passo, a pochi attimi ormai, visto che anche i wrestler più blasonati non sapevano resistere a lungo sotto alla stretta del maglio di ferro
Jerry Lawler è lì, al tappeto, pronto a capitolare. Quello che però non vi ho ancora raccontato è ciò che successe nelle fasi precedenti di questo confronto, con Kerry in difficoltà anche a causa di un profondo taglio vicino all'occhio, che sanguina copiosamente lungo il corpo e il costume bianco del "guerriero moderno".
La ferita però non ferma l'eroe della serata. La missione è quella di diventare Campione del Mondo e la bandiera bianca è un concetto che non fa parte del modus pugnare del texano. Continua a combattere. L'istantanea, la pagina di quella rivista, mi parla. Parla all'arbitro. Tutto il pubblico parla all'arbitro, sembra quasi di sentirlo: «Guarda Jerry Lawler, ha le spalle al tappeto! Non guardare l'occhio di Kerry, la sua fronte cremisi! È sul tappeto il destino di questo match, non sul viso del campione World Class».

L'arbitro forse è sordo, non lo sapremo mai. Sta di fatto che la pensa diversamente. 
La pensa così diversamente che decide di interrompere il match, a causa della ferita sostenuta da Kerry Von Erich. Il match viene vinto da Jerry Lawler senza che lui lo sappia, perché lui ha ormai perso i sensi sotto la presa dell'Iron Clow ed ecco come questa vittoria si può facilmente definire discussa, controversa. 


Questo tipo di epilogo lascia tutti i presenti con l'amaro in bocca. Consapevoli, però, di avere comunque assistito a un match storico, tanto che a quasi trentasei di distanza, abbiamo l'opportunità di parlarne e di celebrarlo.

Da qui, ancora una volta, l'invito per tutti quelli che stanno guardando e che hanno la responsabilità di poi ritrovarsi dietro a un tavolo e a stilare i match da organizzare per il pubblico italiano. L'onere di mettere insieme un prodotto che possa essere adatto per l'Italia. 

Un finale come quello appena raccontato, una rivalità così sentita, che ha fatto rimbalzare i due wrestler e le loro cinture da una parte all'altra degli Stati Uniti. 
Un finale che non dà ragione a nessuno perché è vero, Jerry Lawler è uscito da quel match con in dosso la carica di Campione unificato, ma di fronte a lui c'è stato un wrestler conscio di non avere mai perso quel match, tanto che l'onta di quella sera porterà i due anche negli anni successivi a ritrovarsi spesso uno di fronte all'altro, sempre senza poter stabilire un vincitore definitivo.

Ancora una volta, io vi ringrazio per aver raggiunto il fondo di questa Storia.

Il modo migliore, a mio parere, per ringraziarvi, è quello di condividervi quella che considero una chicca. Come scrivevo, quello della World Class veniva riconosciuto come titolo di valore "mondiale" non solo entro i confini del Texas, ma anche in molti altri paesi del globo, grazie alla penetrazione in syndication dei match WCCW in Africa e Asia ad esempio. Non deve quindi sorprendere che solo alcuni giorni prima di Super Clash, Kerry Von Erich prese un aereo alla volta del Giappone, per difendere la sua cintura contro Tatsumi Fujinami, al tempo detentore del massimo alloro sanzionato dalla New Japan Pro Wrestling, il titolo IWGP. 
L'esito potrei raccontarvelo ma preferisco che lo guardiate voi perché è come se, nell'insegnamento dei corsi e ricorsi storici, il destino di Kerry Von Erich a Super Clash III fosse già scritto. 



A presto, con il prossimo capitolo dell'Almanacco del Wrestling.

13 Novembre 2005...Da Minneapolis a Londra

 

19 anni fa ci lasciava #EddieGuerrero, stroncato da un infarto in una stanza di albergo, a Minneapolis.

Il mio ricordo di quella giornata particolare, in un luogo particolare, un'occasione particolare.
 
Ware, Hertsfordshire, Regno Unito
AWA:United Kingdom
 
Nessuno, negli spogliatoi o tra il pubblico si sarebbe aspettato che, i primi gong di quella serata, sarebbero stati dieci di fila.
 
Il mio racconto, un pretesto per ricordare a tutti gli appassionati di Wrestling che Eduardo Gory Guerrero è stato molto di più che il protagonista in WCW e WWE a cavallo tra la fine degli anni Novanta e i primi anni del nuovo millennio.
 
Questa volta, però, oltre alle semplici parole preferisco tornare ai miei "vecchi metodi", quelli della narrazione in video. Vi accolgo nuovamente nel mio salotto per condividere la stessa passione, e le emozioni di Storie che hanno attraversato, prima degli States, sia il Messico che il Giappone...A viso scoperto e persino sotto una maschera...
 

Almanacco del Wrestling - ANTONIO INOKI


Il 6 dicembre 1979, Antonio Inoki si trova di fronte a un bivio. Accettare una vittoria discussa o lasciare parlare il proprio orgoglio? È il nuovo capitolo dell'Almanacco del Wrestling

Oggi voliamo in Giappone, anche se, in verità, la Leggenda di cui vado a raccontarvi oggi è difficilmente ascrivibile ad un solo Stato, ad una sola nazione. Antonio Inoki è un grande personaggio a tutto tondo, non solo nel mondo del wrestling, anche se oggi chiaramente parleremo di quello. 
Per parlare di Antonio Inoki andiamo a introdurre la motivazione che sta dietro la Storia di cui ne è effettivamente il protagonista. Parliamo non tanto di vincere o perdere, ma di orgoglio. Spiegare con le proprie azioni al pubblico, agli appassionati, cosa vuol dire avere una spinta più grande della voglia stessa di prevalere, della voglia stessa di aggiungere un trofeo, per quanto prestigioso, al proprio palmares.

Inoki compie i suoi primi passi nel mondo del wrestling sotto l'ala protettiva del mostro sacro per eccellenza del puroresu, Rikidozan, che ha due allievi prediletti, Inoki appunto e Shoei "Giant" Baba. ..Anche se, bisogna dire, agli occhi non solo del Maestro, ma anche di chi era vicino a lui, Baba veniva visto come il "prescelto" a raccogliere le redini del movimento giapponese. Inoki e Baba nel 1973 andranno poi a creare ognuno la propria realtà, quando l'esperienza della JWA si esaurirà: la All Japan per mano di Baba e la New Japan, appunto, con la firma di Antonio Inoki. 
Hisashi Shinma, Presidente della WWF
Rispetto a Baba, Inoki non riesce a trovare almeno in questa iniziale parte del suo cammino, una via per la consacrazione a livello mondiale. Perché Baba riesce infatti a catturare anche il titolo mondiale della NWA, cosa non possibile per Antonio Inoki, non affiliato all'Alleanza. Antonio comunque va negli Stati Uniti per tentare fortuna e raccogliere esperienze. Per questo approda alla NWF, che è una realtà del nord-est degli Stati Uniti, attiva nell'area tra gli Stati di New York e dell'Ohio, ne rileva alcune quote azionarie, per poi diventarne effettivamente il Campione.
Quando il detentore della Corona NWF, Johnny Powers, intraprende una tournée in Giappone, lo fa sotto l'egida della New Japan, e Antonio Inoki, che lo sfida con successo, viene riconosciuto dalla NJPW come Campione Mondiale. È il suo primo assaggio di un campionato che, per blasone, porta il suo nome oltre i confini della terra del Sol Levante. Questo, però, a lui non basta, perché comunque il peso della competizione con Baba è forte e dopo l'esperienza con il titolo della NWF - un titolo che comunque resterà attivo sino agli albori dell'International Wrestling Grand Prix - decide di volgere il suo sguardo verso il titolo della World Wrestling Federation
La congiuntura "geopolitica", alla fine degli anni Settanta, è particolare favorevole, perché il presidente della WWF era un giapponese, Hisashi Shinma. Ed è proprio grazie a Shinma, deus ex machina della collaborazione tra WWF e New Japan, che arriva questa nuova grande opportunità. 

Antonio Inoki sfida più volte il campione dell'epoca, Bob Backlund, e alla fine riesce a portargli via il titolo. Questo è un cambio di mano del Titolo che ancora oggi, a livello ufficiale, non viene riconosciuto come tale, perché nel giro di una settimana la cintura passa dalle mani di Backlund a Inoki, per poi tornare intorno alla vita dello statunitense.

Fatto questo doveroso preambolo, entriamo del dettaglio della storia di questo Capitolo.

Antonio Inoki sconfigge Backlund per il titolo, ma l'ora ex-campione è ancora lì, in terra nipponica, per proseguire nella sua tournée. Ottiene per la settimana successiva, il 6 dicembre del 1979, un rematch con il titolo ancora in palio. È un incontro di stili molto simile per certi versi, visto che sia Inoki che Backlund hanno in comune un percorso di formazione con il leggendario Karl Gotch...E questo si vede benissimo, così come il pubblico sa riconoscere in Inoki un wrestler non al 100% espressione di uno stile al 100% giapponese: c'è molto del sizzle statunitense in Antonio Inoki, nel modo in cui combatte, in cui lui riesce a gestire il match.
Va detto, nel rematch è Antonio Inoki, nonostante sia lui il campione e Backlund lo sfidante, a mantenere le redini per quasi tutta la totalità della contesa. 

Il "quasi" però qui fa la differenza. Cosa succede alla fine del match? Nelle fasi più concitate, quando entrambi i wrestler sono letteralmente stremati, ecco che dal passato torna un acerrimo nemico di Antonio Inoki, Tiger Jeet Singh, che fino a poche settimane prima ha conteso la corona dell'NWF all'eroe giapponese.
Inoki è uscito vincitore da una lunga serie di battaglie contro questo grandissimo wrestler indiano, però insomma, a Singh la recente sconfitta non va giù e quindi, proprio quando sembrava che Inoki fosse sul punto di sconfiggere Backlund, il suo intervento porta alla vittoria dell'ex iridato. 

Il fatidico conto di tre rimette di fatto a posto il cosiddetto lineage , l'albo d'oro ufficiale del Titolo Mondiale WWF. A dirla tutta, il condizionale sarebbe d'obbligo, visto che l'intervento di Tiger Jeet Singh spinge il Presidente WWF a salire sul quadrato.
Shinma prende la cintura dalle mani di Bob Backlund (che, claudicante, non aveva visto l'interferenza di Singh) per riconsegnarla a Inoki, tra le urla del pubblico.

Questo è il momento cardine della nostra Storia. 

Antonio Inoki potrebbe serenamente portarsi la cintura negli spogliatoi perché, di fatto, l'ingerenza di Tiger Jeet Singh varrebbe una squalifica, visto che non solo distrae, ma scaglia un colpo ai danni di Inoki. Beh, il Campione de facto non la pensa così: del resto, le sue spalle sono state al tappeto per il conteggio di tre dell'arbitro, un arbitro che non aveva visto l'intervento dell'indiano pochi istanti prima. Quindi, per lui, tornare a casa ancora come Campione, in quella maniera rocambolesca seppur legittima, non è ciò che si era prefissato. 

Voleva dimostrare di essere in grado di prevalere ancora, per il suo pubblico ma soprattutto per sé stesso. Decide così di rinunciare al titolo e chiede al microfono a Backlund l'opportunità di un altro match per mettere fine alla questione. 


La storia però aveva altri percorsi in serbo per questi due gladiatori. 

Bob Backlund prese la cintura per riportarla negli Stati Uniti. Di lì a poco, il 19 Dicembre 1979, un match tra lui e Bobby Duncum al Madison Square Garden (Duncum era, negli States, considerato il primo sfidante al titolo WWF) assegna ufficialmente la corona e decreta la fine della diatriba, almeno per quanto riguarda Vince McMahon Senior e i suoi promoter. 

Lou Thesz arbitro speciale nell'ultimo match tra Backlund e Inoki

Inoki ebbe effettivamente altre chance per riagguantare la cintura viola: in Florida nell'aprile del 1980, a Tokyo durante le Bloody Fight Series estive, e persino l'anno seguente a Naucalpan, in Messico, con Lou Thesz convocato dalla UWA per arbitrare questa magnifica contesa. Non riuscì più nell'impresa.

Detto questo, è innegabile che Antonio Inoki, sia stato a tutti gli effetti Campione della WWF, e quella cintura nel Dicembre 1979 non la perse agli occhi del pubblico, agli occhi del Presidente Shinma, ma  comunque, il suo orgoglio lo portò a decisioni diverse. Ed è questa una motivazione che mi ha spinto oggi a raccontarvi questa sua storia, lasciandovi qui sotto spazio per i commenti, spazio per tutti i vostri punti di vista. 

Vi lascio inoltre altri link per rivivere match che ho pensato potessero fare da corollario a questa bellissima Storia, una storia dove l'orgoglio vince, rispetto alla voglia di Vittoria.

A presto, con un nuovo capitolo dell'Almanacco del Wrestling.




Almanacco del Wrestling - OLE ANDERSON

Ole Anderson - Il Tradimento a Dusty Rhodes


Ole Anderson è a tutt'oggi considerato una Leggenda nel mondo del wrestling statunitense. 

Sul quadrato, per i risultati ottenuti specialmente come parte del sodalizio conosciuto con il nome di "Minnesota Wrecking Crew", al fianco di Gene Anderson (e Lars) prima, ed in seguito con Arn Anderson.

Fuori dal ring, per la sua lunga carriera di promoter e booker, che lo hanno portato, caso rarissimo per la sua generazione, a raggiungere una posizione economica così florida da non vedere l'esigenza di spostarsi da un territorio all'altro, come si faceva sino alla fine degli anni Ottanta, per mantenere sè e la propria famiglia: la grande sagacia, la capacità di "sentire" il pubblico, di anticiparne i pensieri e soprattutto i desideri hanno fatto del suo stile creativo un punto fermo per il cosiddetto "southern wrestling" nell'accezione più atletica del termine, quella cioè più legata al trittico sudore-sangue-lacrime che non alle stipulazioni incredibili tipiche del Tennessee (ma sugli stili di booking influiscono anche le cadenze degli spettacoli...e le differenze tra territori "settimanali" e "mensili" di cui parleremo prossimamente).

Quello che accadde a Luglio del 1980 è un esempio della grande visione di Wrestling di questo immenso personaggio, capace di riprendere un discorso lasciato un anno e mezzo prima, per sorprendere - e infuriare - tutti i fan presenti quella sera all'Omni.

Lungo tempo era trascorso dall'ultimo incrocio sul ring tra Ole Anderson e Dusty Rhodes, con quest'ultimo che fece ritorno nel territorio della Florida per perseguire la sua scalata al Titolo Mondiale NWA. Durante quel lasso di tempo, Ole Anderson si ritrovo sorprendentemente a sentire gli applausi del pubblico, dopo aver resistito all'assalto di wrestler odiati come "Russian Bear" Ivan Koloff e Alexis Smirnoff, grazie anche all'assistenza di altri popolari stelle come Stan Hansen e Tommy Rich, con i quali Ole si alleò in diverse occasioni.

Al ritorno in Georgia, "American Dream" Dusty Rhodes si ritrovò subito coinvolto in un'accesa rivalità con Terry Funk prima e soprattutto con il tag team più dominante del periodo in Georgia (e probabilmente uno dei tandem più ricordati ancora oggi, grazie alle loro diverse formazioni che si sono susseguite nel tempo), gli Assassins.

Dopo aver detronizzato Ole & Lars Anderson dal titolo di campioni di coppia del territorio, i misteriosi wrestler mascherati dovettero rispondere "presente" alla sfida per il titolo lanciatagli da Rhodes...e quale miglior partner che non l'ex acerrimo nemico, il pilastro della zona, Ole Anderson? 

Ecco, in quelle due parole "acerrimo nemico", sta tutto il nocciolo del discorso: Ole e Dusty se le sono date di santa ragione per anni, lungo tutta la grande regione del Sud. Al termine dell'ultimo, sanguinoso match tra i due, Dusty Rhodes disse chiaro alle telecamere una frase che sarebbe poi diventata celebre: It will never be over!

A giudicare da quello che successe in quel fatidico 20 luglio 1980, si può proprio dire che Ole Anderson, quella frase, se la "legò al dito". 

Dusty avvicinò Ole per proporgli di mettere da parte il passato, let bygones be bygones: mettere insieme le proprie forze e scalzare gli Assassins dal soglio iridato. 

Il 22 giugno, i fan di Atlanta assistettero a qualcosa che mai avrebbero potuto ritenere possibile: il demolitore del Minnesota ed il Sogno Americano dalla stessa parte del quadrato. Il match terminò in no-contest, nessun vincitore, nessuno sconfitto. Tutto da rifare insomma.

Il 6 luglio, la rivincita, ma esito sorprendente: grazie ad un aiuto esterno, gli Assassins sconfiggono i nuovi eroi, e chiudono la questione, giusto? Sbagliato!

Ole Anderson propone a Dusty Rhodes una petizione per chiedere al promoter Paul Jones (no, non "Number One" Paul Jones, leggendario wrestler e manager dell'area Mid-Atlantic, semplice omonimia) una stipulazione speciale per il rubber match: una gabbia, con all'interno non uno, ma DUE arbitri speciali, scelti rispettivamente dal tandem Campione e dal duo di sfidanti: gli Assassins scelsero Ivan Koloff, mentre i pretendenti al titolo trascinarono nell'agone nientepopodimenoche...Gene Anderson! Il capostipite della dinastia degli Anderson, pietra miliare dell'area georgiana.

Eccoci dunque al fatidico 22 luglio 1980. Un giorno per la Storia.

Dopo le schermaglie iniziali, che vedono i favoriti del pubblico viaggiare con il vento in poppa, le tattiche scorrette dei due Campioni fanno loro prendere il controllo su Dusty Rhodes, e la contesa diventa un attacco a senso unico.

Rhodes tenta più volte di dare il cambio al suo compagno, senza riuscire a raggiungere l'angolo amico del quadrato. Nel momento di maggiore difficoltà, ecco finalmente l'apertura agognata, e il tag a Ole Anderson. Il pubblico in fiamme. Poi il silenzio, l'incredulità.

La rabbia.

Al suo ingresso sul ring, Ole Anderson si volta infatti verso il suo compagno...E inizia ad attaccarlo come una, beh, come una furia. Gli stessi Assassins sono increduli, così come l'arbitro "di parte" Ivan Koloff. Gene Anderson invece parte subito anche lui all'attacco del Sogno: i fan dell'Omni capirono subito, erano di fronte a un agguato programmato! 

Sul ring vola di tutto, Rhodes si ritrova attaccato da cinque wrestler, prima che Koloff e gli Assassins, vedendo l'aria che tira, capiscono che quella non è di fatto la loro guerra e possono anche limitarsi a far sì che nessuno entri nella gabbia tra i wrestler - e i fan! - che tentano in tutti i modi di scalare la gabbia che è di fatto diventata una prigione di acciaio per il malcapitato Dusty.

Ai protagonisti dell'agguato saranno necessari la scorta della polizia, e lunghe ore di attesa, per uscire dal palazzetto tutti interi. Il sabato successivo gli spettatori dell'emittente WTBS, la cosiddetta "Superstation" per via della capacità di emissione del suo segnale, furono testimoni di quello che ancora oggi è considerato uno degli interventi al microfono più memorabili di sempre, grazie al genio e alla capacità comunicativa di Ole Anderson.





 

Come sempre per ogni capitolo del mio Almanacco, spazio al messaggio conclusivo. Per tutti coloro che producono Wrestling in Italia, e che sono senza nemmeno accorgersene vittime dell'ansia di vedere e di scoprire, tipica del fan e, beninteso, parte vitale della passione e della curiosità che lega il pubblico al prodotto, ecco che questo grande pezzo di storia ci insegna che alcune delle Storie più importanti nel lungo cammino di questa disciplina partono dal presupposto che i tempi di maturazione, se bene congeniati, quei semi, se dato loro tutto il tempo di crescere e germogliare, regalano soddisfazioni, reazioni più grandi, e soprattutto più ampi solchi, nei percorsi della memoria collettiva di tutti gli appassionati.

 

Prossimo capitolo: Ox Baker, e il suo feroce attacco a Ernie Ladd