Da Wikipedia: la persona nel segno dell'Acquario è estrosa, originale. Vista la dominanza uraniana è difficile da ingabbiare all'interno di schemi e concetti precostituiti, di norma insofferente alle regole e alla società. È alla costante ricerca di un suo modo per esprimersi in ferma opposizione agli altri.
Se c'è una cosa che abbiamo imparato in questi primi capitoli dell'Almanacco del Wrestling, è che in Giappone questa disciplina è stata spesso presentata come un campo dove i Protagonisti si misuravano non semplicemente in base alle loro qualità tecniche, alle loro aspirazioni. La "sostanza" di base, l'humus dal quale ogni wrestler di successo doveva cercare di far germogliare la propria voglia di emergere, era ciò che da dentro li muoveva.
No, non sto parlando del cuore, della capacità di gettarlo oltre all'ostacolo, qualunque esso fosse. Akira Maeda si prende questo Capitolo per il suo fegato. Per il fatto di non aver mai voluto abbassare lo sguardo di fronte a nessuno - anche il motivo fosse semplicemente quello di prendere meglio la mira...
Maeda nasce a Osaka il 24 Gennaio 1959 - segno zodiacale acquario, appunto - ed è diventato un karateka diciottenne di belle speranze quando nel 1978 viene notato da emissari della New Japan. Lo invitano nel dojo, dove prepararsi come wrestler professionista. Come già successo ad altri giovani prospetti prima di lui, parte del percorso formativo include il viaggio in Inghilterra, dove - con il nome di Kwik Kik Lee - viene presentato al pubblico come il fratello del già popolare Sammy Lee, passato poi alla storia come la prima incarnazione del leggendario Tiger Mask.Nell'aprile 1984, un gruppo di wrestler affiliati alla NJPW, Ryuma Go, Rusher Kimura, Gran Hamada, Nobuhiko Takada, Yoshiaki Fujiwara (quest'ultimo da me citato in lungo e in largo durante la mia militanza in SIW tra il 2022 e il 2023) e appunto Akira Maeda decisero di dare vita a un movimento che portasse sul ring uno stile di combattimento più orientato alle radici marzialiste che non al "colore" del wrestling statunitense o addirittura messicano.
Per fare questo, non ci fu altra via se non quella di recidere il cordone dal maestro Antonio Inoki e dalla sua visione occidentale del puroresu, dimostrata anche dalla scelta di dare a Hulk Hogan l'opportunità di elevarsi nell'olimpo giapponese con il trionfo nel primo International Wrestling Gran Prix del 1983.
In cabina di comando della neonata Universal Wrestling Federation sedeva una nostra vecchia conoscenza dell'Almanacco, quel Hisashi Shinma già presidente della WWF e deus ex machina dietro agli storici cambi di testimone della Corona WWF tra Inoki e Bob Backlund. Fu proprio Shinma ad accordarsi con Vince McMahon per far sì che una rappresentanza della UWF facesse capolino negli States per accrescere il proprio prestigio, con Maeda presentato ai fan del Nord Est americano come Campione Internazionale WWF.La visione di questi pionieri dello shoot-style era chiara: proporre un prodotto che nulla aveva a che vedere con ciò cui gli appassionati potevano assistere nei programmi tv della All Japan e New Japan, che venivano bollati come "poco realistici" (eufemismo...), e per fare questo vennero incorporate tecniche appartenenti al catch wrestling caro a uno dei trainer, l'onnipresente Karl Gotch, allo judo, il ju-jitsu e la kickboxing. Ben presto alcuni stessi degli "UWF Originals" come Hamada e Kimura decisero di cambiare bandiera e passare alla AJPW, tanta si rivelò la loro stessa difficoltà all'adattarsi a questo nuovo, durissimo stile di lotta.
Quello che fece naufragare la prima incarnazione della UWF non fu però la mancanza di wrestler disposti a cimentarsi sul ring più impegnativo del mondo, bensì l'incapacità di sintesi tra visioni e direzioni diverse da imprimere a questo innovativo gruppo: da un lato, Akira Maeda e i suoi alleati, fedeli alla missione originaria e pronti a subire anche cocenti sconfitte pur di portare al pubblico una serie di incontri e sfide il più avvincenti e indecise possibili. Dall'altro, Satoru Sayama, che voleva a tutti i costi far valere il peso specifico della sua maschera di Super Tiger e ritagliarsi un ruolo di primo piano a livello di matchmaking.
Le tensioni culminarono nel match a Osaka del 2 settembre 1985, dove i due rivali non si risparmiarono alcun colpo, fino a che uno di questi, scagliato da Maeda, finì un po' troppo sotto la cintola del Tigre per non andare a decretare la fine della contesa per squalifica.
Sayama lasciò la UWF, non salendo più su un ring per oltre un decennio, mentre Maeda fu allontanato dalla sua stessa creatura, prima che questa chiudesse i battenti di lì a poco.
Ecco, il tema del "calcio", che dà il titolo a questo capitolo, inizia a prendere forma, anche se il culmine è ancora da raccontare. Maeda, Fujiwara e Takada, tra gli altri, tornano "all'ovile" e siglano un accordo con Antonio Inoki per il rientro in New Japan. La sagacia della Leggenda Giapponese, va detto, è quella di re-introdurre i figlioli prodighi legittimandone il passato in UWF, ma soprattutto mostrandoli al pubblico non in match contro alcuni esponenti fissi della scuderia preesistente (figurarsi dream match come Inoki-Maeda o Fujinami-Fujiwara), ma in contese tra loro, dove poter così rimarcare al grande pubblico le caratteristiche peculiari e lo stile originale di questi combattenti...Lezione per i promoter del giorno d'oggi sul come si presenta al pubblico un nuovo elemento.
Inoki crea appositamente la "UWF Representatives League", vera e propria vetrina per i nuovi arrivi in casa New Japan, e dalla tournée New Year Dash del 1986 si inizia a costruire, mattone per mattone, la torre che avrà come apice lo scontro diretto tra i rappresentanti storici della NJPW e questo gruppo di ribelli.
Akira Maeda in questi mesi non fa assolutamente nulla per levarsi di dosso la reputazione di atleta senza compromessi, pronto a qualsiasi scelta, anche estrema, pur di portare avanti la sua causa, il suo credo, il suo modo di contemplare l'arte del combattimento ed il wrestling come sua espressione. Il primo atleta UWF a farsi strada nel Regno di Inoki è Nobuhiko Takada, che sconfigge Shiro Koshinaka diventando Campione Junior Heavyweight. Nell'estate del 1986, Maeda e Osamu Kido sconfiggono Kengo Kimura e il mostro sacro Tatsumi Fujinami diventando Campioni di Coppia IWGP...È ormai testa a testa tra le due fazioni, una sorta di guerra civile dove i veri vincitori sono gli appassionati di puroresu, che non solo assistono a contese tra wrestler fino a poco tempo prima accasati in realtà esterne, ma soprattutto si fanno testimoni della creazione di un nuovo stile di wrestling, dove il quadrato torna a prendere il sopravvento e le leve articolari vengono affinate così tanto da determinare molto spesso la fine degli incontri. Maeda inizia qui a costruire, insomma, non soltanto la sua reputazione, ma la sua eredità nel wrestling, come vedremo lungo questa nostra storia...
...Eccoci quindi all'apice del racconto, nel bel mezzo della tournée che nel 1987 assegnava la Japan Cup a coppie (antesignana della G1 Climax). Il cosiddetto "girone all'italiana" vide la partecipazione di Antonio Inoki & Dick Murdoch, Kengo Kimura & Tatsumi Fujinami, Masa Saito & Yoshiaki Fujiwara, Seiji Sakaguchi & Scott Hall, Keiji Mutoh & Nobuhiko Takada, Akira Maeda & Junji Hirata, Kendo Nagasaki & Mister Pogo e le cenerentole Ron Starr & Ron Ritchie.
Per l'ottavo giorno della serie, data astrale 19 Novembre, il match di cartello vedeva di fronte il trio di Maeda, Takada & Kido contro Masa Saito, Hiro Saito ed il popolarissimo Riki Choshu, sulla cresta dell'onda dopo il suo recente ritorno dalla All Japan e la sua affiliazione al gruppo Takeshi Puroresu Gundan (fazione dalla quale emergerà di lì a un mese il "mostro straniero" Big Van Vader...ma questa è un'altra storia).
Choshu aveva costruito la sua fama di wrestler su due tecniche in particolare: il Riki-Lariato (running clothesline) e lo Scorpion Death Lock, la cui invenzione viene accreditata da più fonti allo stesso "Guerriero Rivoluzionario", così come veniva soprannominato questo wrestler. Lo Scorpion Death Lock, per quanto devastante per chi vi si trova intrappolato, pone un problema per chi la esegue, nel caso in cui si trovi in un contesto a squadre, e non un match singolo: per applicarla con massima leva, entrambe le mani sono impegnati nella chiusura a chiave, esponendo di fatto la propria guardia ad un eventuale attacco laterale o da tergo. Avete già capito dove voglio arrivare...
Nel calcio probabilmente più famoso nella storia del puroresu, Maeda esce dal suo angolo e rifila un calcio devastante sull'arcata sopraccigliare di Choshu, che non va in frantumi solo perchè il paratibie di Maeda attutisce di fatto il colpo quanto basta per non spedire Riki a metà della settimana successiva, come avrebbe detto Gorilla Monsoon. Inutile a dirsi, il match a quel punto va completamente a ramengo: salgono sul ring tutti i wrestler, i secondi...e possibilmente anche i terzi, i quarti e i loro cugini di secondo grado.
Antonio Inoki di lì a poco si sarebbe ritrovato di fronte a un mugulo di giornalisti, a dover spiegare la defenestrazione di Akira Maeda dalla scuderia, camminando così lungo quella sottile linea che divideva il ciò che si era visto dal ciò che si sarebbe dovuto vedere. Perchè una reprimenda così dura? Non sarebbe bastata una squalifica da parte dell'arbitro? Magari un taglio dello stipendio a causa degli impegni sul ring persi da Choshu per via dell'infortunio al viso.
Invece no, linea durissima. Più domande che risposte, dunque.
La risposta più chiara la dà Maeda, e con lui il suo gruppo di compagni. Una risposta che ascrive Akira Maeda nella grande storia del wrestling mondiale, e quindi in questo Almanacco. Nasce la NEWBORN UWF, seconda incarnazione della lega fondata quattro anni prima.
Il ritorno della UWF, che segna un successo del gruppo ancora più grande rispetto alla sua prima fondazione, cambia del tutto il panorama prima giapponese, e poi oltreoceano - Pacifico in questo caso. Per stare al passo con i ribelli (no, niente birra da discount qui), sia la New Japan che la All Japan iniziano a promuovere match dove l'enfasi si sposta dal gong iniziale a quello finale: sempre meno match di cartello terminano in conteggi fuori dal ring o squalifiche, sempre meno epiloghi per schienamento, a favore di wrestler costretti alla sconfitta per sottomissione...il cosiddetto tap out che ai tempi veniva usato con un senso ben preciso: era l'ultimo sforzo di un wrestler impossibilitato a usare la propria voce, per abbandonare la contesa.
Oramai, si vedono leve alle gambe terminare con wrestler che, inspiegabilmente (almeno, a me non è mai successo...), perdono temporaneamente la capacità verbale e si trovano costretti a battere sul tappeto il proprio ritiro dal match, prima ancora della ritirata. Coreografare la propria sconfitta...Mah.
Avete quindi ora un quadro più chiaro, sul profilo umano e competitivo del nostro Protagonista di oggi, ma ritengo ci siano modi per conferire altri colori alla vostra immagine: ho deciso di corredare questo capitolo con una serie di filmati che hanno lo scopo non soltanto di mostrarvi le vicende di cui narro, ma soprattutto di farvi entrare nella rovente atmosfera che ha caratterizzato un periodo così importante, nella storia del puroresu. I video che seguono sono un degno epilogo di questo emozionante viaggio nei ricordi - e nelle emozioni.
26 Marzo 1986, Metropolitan di Tokyo
Match a eliminazione, 5 contro 5: Team New Japan (Antonio Inoki, Tatsumi Fujinami, Kengo Kimura, Umanosuke Ueda e Kantaro Hoshino) vs Team UWF (Akira Maeda, Yoshiaki Fujiwara, Nobuhiko Takada, Kazuo Yamazaki e Osamu Kido)
Le regole per decretare un'eliminazione sono tutte da scoprire...vedere per credere!
Forche caudine, 5 contro 5 a sorteggio: Team New Japan (Tatsumi Fujinami, Kengo Kimura, Shiro Koshinaka, Seiji Sakaguchi e Keiichi Yamada - il futuro Jushin Thunder Liger) vs Team UWF (Akira Maeda, Yoshiaki Fujiwara, Nobuhiko Takada, Kazuo Yamazaki e Osamu Kido)
La partecipazione del pubblico è pari solo a quella di ognuno dei wrestler che hanno partecipato a queste storiche battaglie. Li vediamo a bordo ring, uno accanto all'altro, a sostenere i propri compagni, ora preoccupati, ora entusiasti. Se non ci fosse stata, da parte di questi gladiatori, tale grado di coinvolgimento, il pubblico non sarebbe stato così emotivamente coinvolto.
Anche questa, una importante lezione, per chi in Italia si ritrova dietro il sipario, e spesso anche a bordo o centro ring. Guardare alle "stelle", come abbiamo fatto noi all'inizio di questo Capitolo, e non alle "stelle e strisce".
Alla prossima!